di Romolo Romani
Un giorno del 1971, lo ricordo bene perché essendo il due giugno festa della Repubblica sarebbe dovuta essere una giornata di riposo; fummo invece buttati giù dal letto alle cinque di mattina. In un primo momento i carabinieri non ci dissero assolutamente quale fosse la nostra meta; solo dopo il decollo mi comunicarono che la nostra meta era Orune.
Il paese in provincia di Nuoro, tipico dell’interno dell’isola, mi si presentò arroccato su di un colle a strapiombo sulla valle sottostante.
In avvicinamento, i carabinieri mi indicarono un ovile affossato in un canalone, posto proprio sotto il paese e di difficile atterraggio per la scarsa ampiezza del luogo. In accordo con l’altro pilota, il sergente maggiore Gian Luigi Lecca, decisi, prima di atterrare, di effettuare una ricognizione alta per controllare eventuali ostacoli al volo e studiare la migliore direzione di discesa. Facendo il circuito, mi accorsi della presenza di una grande folla che, assiepata lungo i muraglioni a picco sul canalone, inveiva e lanciava una gran quantità di oggetti verso il basso, in direzione dell’ovile, dove dei carabinieri erano indaffarati a ripararsi. A quel punto, il maresciallo che avevo a bordo, in interfono, con voce alterata, mi disse di atterrare immediatamente là dove erano posizionati i suoi uomini. Preso dalla spinta emotiva trasmessami dal maresciallo che mi incitava a fare presto, vedendo quella folla invelenita che continuava a dimostrare la propria insofferenza verso i carabinieri e realizzando che quei poveri militari si trovavano in un “cul de sac”, mandai al diavolo ogni precauzione sulla sicurezza del volo e andai velocemente all’atterraggio con una manovra che chiamare “spericolata” sarebbe veramente riduttivo. Immediatamente, un gruppetto di carabinieri si avvicinò all’elicottero, che tenevo al regime massimo di decollo, con una persona ammanettata che, nel momento di essere spinto sul velivolo, si rivolse celermente verso il capo pattuglia in piedi al fianco dell’elicottero e, platealmente, cercò con la testa e con le mani di abbozzare un fraterno saluto, poi, alzando le braccia pur bloccate dalle manette e cercando di congiungere le mani, si rivolse verso noi dell’equipaggio, quasi a ringraziarci. Fu un attimo, velocemente fu spinto a bordo e preso in consegna dal maresciallo dei carabinieri e dagli altri quattro militari. Questi, con dei decisi “via, via”, accompagnati da ampi gesti, mi obbligarono a un decollo che fu ancora più spericolato dell’atterraggio. Effettuai la manovra con tanta foga che il collettivo mi arrivò fin quasi all’ascella.
La velocità dell’azione e la concitazione del momento non mi impedirono di rendermi conto che la folla, che aveva assistito alla spericolata manovra e che al mio arrivo avevo visto inferocita, al decollo, iniziò a battere le mani, mentre con gli occhi seguiva la salita quasi verticale dell’elicottero. Rimasi perplesso, tanto che mi ripromisi di chiedere spiegazioni al maresciallo capo pattuglia. Arrivammo a Nuoro in appena dieci minuti e atterrammo nella piazzola posta proprio al lato del carcere di Bad’e Carros, dove quell’uomo fu preso in consegna dal personale del penitenziario.
Atterrato ad Abbasanta, chiesi al capo pattuglia di spiegarmi il comportamento della folla e, per curiosità mia personale, anche di conoscere il nome della persona che avevo portato in elicottero. Mi disse che il “passeggero” era Campana, che veniva considerato il vice di Graziano Mesina, poi mi raccontò lo svolgimento dei fatti che precedettero l’arrivo dell’elicottero.
La notte precedente, due pattuglie dei carabinieri avevano scoperto la presenza del Campana in quell’ovile, nelle vicinanze di Orune; ne scaturì un conflitto a fuoco nel corso del quale, anche se accerchiato, il Campana riuscì ad aprirsi un varco verso la parte alta del canalone. Si trovò però, davanti un carabiniere che gli intimò di fermarsi. Il ricercato, braccato dal basso dalle pattuglie e vedendo la via di fuga ostacolata dal carabiniere, puntò l’arma contro il militare e premette il grilletto della sua pistola che però non sparò; forse perché inceppata o, come supposto dal maresciallo capo pattuglia, perché aveva terminato i proiettili durante il precedente conflitto a fuoco. Il carabiniere si lanciò repentinamente contro il ricercato, iniziando così una colluttazione che terminò quasi subito per l’intervento degli altri militari immediatamente accorsi.
Il maresciallo mi spiegò che, per come si erano svolti i fatti, il ricercato e i suoi… “tifosi” prevedevano una tragica conclusione dell’azione; erano sicuri di cadere sotto i colpi delle armi da fuoco dei carabinieri. Il suo comportamento, prima di salire a bordo dell’elicottero, voleva essere un messaggio alla folla: far capire a tutti che stava bene. Questo suo gesto aveva spinto la folla ad applaudire coloro che, comunque, avevano tolto dal terribile impiccio il loro “balente”.»