Il secondo pilota del CH-47C
La mattina del 13 dicembre 1979,mi recai come al solito in caserma. Era il giorno di Santa Lucia….”.il giorno più corto che ci sia”… come si diceva un tempo: quel giorno non fu per me, ancora ignaro, propriamente breve.
Giunto in aeroporto, il comandante della basemi convocò nel suo ufficio dove trovai il comandante dell’ aeromobile e lo specialista.
Riservatamente il comandante ci spiegò la ragione di quella convocazione: ci stava affidando una missione delicata e del tutto atipica per conto del ministero degli interni. Ci informò che avremmo dovuto effettuare un trasferimento di personale, ma non si spinse in ulteriori dettagli, raccomandandoci che la missione, di due giorni presunti, doveva rimanere riservata. Non dovevamo dire a nessuno cosa andavamo a fare; dovevamo renderci anonimi, togliendoci i nomi dalle tute di volo e dai caschi, e nel corso dell’operazione – la cui destinazione era al momento sconosciuta – non dovevamo chiamarci per nome. Ultima raccomandazione avvisare, con naturalezza, le famiglie che quel giorno non saremmo rientrati a casa.
Il comandante della base consegnò quindi al capo dell’equipaggio una busta sigillata, che avremmo dovuto aprire solo dopo l’accensione dell’elicottero, al cui interno avremmo trovato il luogo di destinazione. Con noi si sarebbero imbarcati anche dieci carabinieri.
Usciti dall’ufficio con una certa apprensione e non senza emozione prendemmo l’occorrente per la missione e per il pernotto (in quei tempi avevamo sempre nell’armadietto una borsa con gli effetti personali e cambi di biancheria necessaria per operazioni improvvise).
Eravamo in quel tragico periodo passato alla storia come anni di piombo.
Un anno e mezzo prima eravamo stati intensamente impegnati durante il rapimento e l’uccisione del presidente Aldo Moro e della sua scorta.
Giunti nei pressi dell’elicottero trovammo i 10 carabinieri armati ed in tuta da combattimento che facemmo imbarcare. Avviati i motori e, come previsto, il primo pilota aprì la busta e mi comunicò la destinazione: “Alghero”. Decollammo alle ore 8:45 ed atterrammo alle 10:30. In aeroporto imbarcammo un ufficiale ed un brigadiere dei carabinieri. L’ufficiale consegnò al primo pilota un’altra busta da aprire sempre dopo la messa in moto. In questa c’era scritto “Asinara”.
Alle 11:00 decollammo e dopo 15 minuti atterrammo in uno spazio antistante al supercarcere presidiato da carabinieri ed agenti di custodia. Ci chiesero di spegnere i motori ed aspettare a bordo.
Nell’aeromobile regnava un silenzio surreale. Dopo circa 10 minuti cominciarono ad arrivare per imbarcarsi alcuni detenuti, ognuno dei quali era legato con una catena a due carabinieri. Prendemmo nota di quanti detenuti e carabinieri stavamo imbarcando. Improvvisamente uno dei detenuti ruppe il silenzio e cominciò ad urlare verso di noi definendoci servi del potere e che contro di noi non sarebbe mancata la vendetta.
A quel punto ci rendemmo finalmente conto che stavamo imbarcando brigatisti rossi.
Decollammo quindi, alle 11:40, per Nuoro (dopo aver aperto un’altra busta a motori avviati) dove atterrammo nel campo sportivo presidiato da carabinieri armati e, senza spegnere, imbarcammo un altro detenuto.
L’ufficiale dei carabinieri ci consegnò l’ennesima busta dove all’interno trovammo la successiva destinazione: “Trapani Birgi”. La nostra autonomia non ci avrebbe consentito di arrivare fin là, quindi avremmo dovuto far scalo tecnico a Cagliari, dove atterrammo alle 12:50 in zona militare per un rapido rifornimento, rimanendo tutti a bordo, tranne il crew-chief per sbrigare le operazioni connesse. Anche quella zona era presidiata da carabinieri e mi chiesi: come avevano saputo dell’atterraggio a Cagliari se la comunicazione era stata fatta dopo il decollo da Nuoro? Forse l’Arma aveva un modo per comunicare durante il volo?
Alle 13:30 lasciammo Cagliari per atterrare a Trapani alle 14:50, dove facemmo subito rifornimento sempre con tutti a bordo. Qui venne violata la nostra (o meglio la mia segretezza): il crew-chief , fuori per l’operazione, forse per stanchezza o per la tensione accumulata mi chiese, chiamandomi per cognome, che tipo di panino avremmo gradito . La mia espressione di gestualità prudenziale era fuori tempo: i brigatisti si sarebbero ricordati di “un servo del potere con il mio nome?”
A Trapani imbarcammo altri 5 detenuti con 10 carabinieri. Eravamo al completo per un totale di 22 carabinieri, 11 detenuti e noi 3 di equipaggio.
L’ufficiale dei carabinieri, prima della messa in moto, ci consegnò ancora una busta dicendoci che sarebbe stata l’ultima, solita procedura: avviamento e lettura della destinazione. Prossima tappa “Palmi”. Decollammo alle 15:35 ed arriviamo alle 16:40 “tra il lusco ed il brusco” come diceva un mio collega.
Atterrammo nel campo sportivo illuminato a giorno presidiato tutto intorno da carabinieri e forze di polizia. Notai sui tetti delle case circostanti dei tiratori scelti. Lo sbarco avvenne con motori accesi, e tutto si svolse regolarmente. Subito dopo i 22 carabinieri si imbarcarono e il loro ufficiale ci indicò quale ultima destinazione Vibo Valentia, sede di una base elicotteri dell’Arma, per il pernottamento.
Atterrammo alle 17:30, in notturno completo.
Vissi quella giornata intensamente e con emozione.
Quella mattina quando da casa, mi recavo al lavoro, non avrei mai pensato che la sera avrei dormito in Calabria e che il giorno di “Santa Lucia” sarebbe stata per tutti noi una giornata lunghissima. La successione delle buste-destinazione, poi, mi avevano immerso in un’originale “Caccia al Tesoro”.
Il giorno successivo rientrammo a Viterbo dopo aver fatto scalo all’aeroporto romano dell’ Urbe per sbarcare i 22 carabinieri.
A missione conclusa, potevamo sentirci pienamente soddisfatti di aver compiuto al meglio la delicata missione affidataci e di aver servito in altro modo il Paese, dando altresì dimostrazione di flessibilità di impiego operativo e di readiness dell’Aviazione dell’Esercito.