di Diego Fulcheri
Una missione come tante, niente di particolare. Era previsto un trasporto di personale presso un centro nodale, quello del Beigua. Siamo sullo spartiacque tra Piemonte e Liguria. Un “anda” e “venanda” come simpaticamente un “caro amico” è solito dire in questi casi, con attesa in loco per permettere di svolgere, al nucleo trasportato, l’attività prevista.
Niente di che, la routine più esasperata se si esclude il piacere comunque di volare e di farlo senza particolari apprensioni visto il genere della missione. Ma, il futuro non si può mai ipotecare… e la guardia non va mai abbassata; regola sempre valida che nell’attività di volo assume un valore aggiunto.
Torna alla mente quella vignetta sui piloti di elicottero che hanno un carattere pessimo perché si dispongono sempre ad essere pronti al peggio; qualcosa “di brutto” può sempre accadere!
E quel giorno di una non lontana primavera, un particolarissimo destino era pronto ad attendere l’E.I. 320 e il suo equipaggio in quella che doveva essere una missione di mera routine.
Un caso, di quelli fortunati evidentemente, permise in fase di atterraggio di far percepire (va a sapere con quale di quegli “extrasensi” che alle volte aiutano i “volanti”) un qualcosa di strano provenire da sotto. Cosa è successo?
Occorre controllare!
Vista la zona di atterraggio l’elicottero è tenuto leggero sui pattini. Altra inconscia fortuna.
Lo specialista scende, sbarca i passeggeri e ispeziona visivamente il mezzo.
Chissà cosa attraversò la sua mente quando si rese conto di ciò che era successo.
E’ il carrello a pattini!
La traversa anteriore spaccata di netto all’altezza della sella destra esternamente verso il pattino. Evidentemente un ulteriore appesantimento dell’elicottero e la sorte dello stesso si può facilmente immaginare.
Vai a capire poi, in sede di inchiesta tecnica, qualora si fosse verificato il ribaltamento dell’elicottero, se la sella si era rotta prima o dopo l’incidente.
Cosa fare… chiaramente i passeggeri rimangono lì… e poi?… Il pattino viene legato… si! Legato in qualche modo con una corda alla struttura dell’elicottero, per evitare che si possa perdere durante il volo che si tenterà per cercare di tornare a casa.
Non era chiaro, però, nella testa dell’equipaggio cosa poteva fare la gente del 34° Toro, che intanto era stata avvertita.
Mai come in questo caso il detto “salvare capra e cavoli” era imperativo anche perché la sorte di uno passava certamente attraverso la sorte degli altri; ma, come fare
non era in quel momento affatto chiaro.
L’equipaggio intanto lentamente, molto lentamente, messo il muso verso casa cominciava a fare i conti col carburante, tanto per restare allenati a gestire un momentaccio.
Bisognava tenere l’elicottero in moto quanto più possibile per trovare e attuare una soluzione che nella mente di quelli che ci piace chiamare “minatori” del 34° Toro, specialisti e ufficiale tecnico, cominciava a fare capolino.
Così per garantire l’autonomia necessaria a rientrare a Venaria e attuare quanto si era messo a punto per salvare la famosa “capra e … i suoi cavoli”, fu coordinato un rifornimento a caldo sul piazzale di Cuneo Levaldigi con l’elicottero in hovering.
Nella sua genesi la soluzione tutto sommato si rivelava il famoso “uovo di colombo” .
Tenere l’elicottero in hovering quanto bastava per smontargli l’intero carrello danneggiato e sostituirlo con quello efficiente precedentemente smontato da altro aeromobile. Semplice, no? Purtroppo non era così facile perché il personale del “Toro” doveva fare in fretta e bene perché non si stava giocando come in un videogioco; perché l’elicottero stava tornando con i suoi “cavoli” a bordo e niente doveva essere lasciato al caso se non si voleva che qualcosa di peggio potesse succedere.
E tutto questo venne effettuato con fasi ideate con grande sagacia! Un elicottero viene posto sotto il paranco esterno per essere assicurato allo stesso mentre viene issato sui
martinetti.
Gli viene smontato il carrello intero che viene posizionato vicino allo spot dove verrà fatto avvicinare l’E.I. 320 ormai in vista del campo.
L’esecuzione fu perfetta! Con l’E.I. 320 in hovering, senza possibilità di appoggiarsi al suolo, ognuno di quelli coinvolti nell’operazione eseguì il suo compito senza alcuna esitazione e nel più breve tempo possibile, dimostrando grande professionalità e una calma encomiabile.
Una magnifica operazione ben coordinata e condotta venne portata a termine. L’elicottero si fermò in hovering, due tecnici scivolarono sotto la “sua” pancia grigia da balena e smollarono le quattro selle del carrello… le allentarono mentre altri “quattro” erano pronti, una volta che lo stesso fosse stato completamente svicolato dalla struttura, a toglierlo di mezzo.
La prima fase riuscì in brevissimo tempo e, a quel punto, uno spettacolo forse irripetibile si presentò nell’area aeroportuale.
Uno slanciato AB205, senza carrello, fermo immobile in hovering a due metri da terra. Certamente una configurazione unica nel suo genere, ma il lavoro doveva essere finito e così, sempre gli stessi quattro, tolto il carrello rotto si avvicinarono con quello buono, lo appoggiarono alla struttura mentre sotto la pancia si provvedeva sempre con l’elicottero in volo, a serrare le selle.
Il cavallo a quel punto aveva nuovamente le sue quattro zampe buone, pronte a sorreggerlo.
Il pilota, che in passato aveva già vissuto la brutta esperienza della rottura della catena rotore di coda del suo elicottero, nel cielo di Cuneo Levaldigi, poté a quel punto appoggiare i pattini e spegnere senza problemi il motore.
Quanto venne fatto, come molte volte succede in situazioni che riguardano “il volo”, non era certo previsto da nessun manuale, da nessuna sezione emergenze. Ma venne
fatto e venne fatto bene, è doveroso ripeterlo, grazie alla professionalità di tutti coloro che furono coinvolti.