1986 Santità: Ecco il Gran Paradiso. “Ah, questo lo conosco!”

di Federico Vallauri

Aosta, 7 settembre 1986: il Papa Giovanni Paolo II giunge per la prima volta in Valle, in visita pastorale. Visita che era stata studiata e programmata in ogni sua fase nei giorni precedenti. La parte ufficiale comprendeva uno spostamento in elicottero da Aosta a Courmayeur e da qui al Mon Chétif, posto proprio sopra la famosa cittadina turistica, per inviare in mondovisione un messaggio di pace a tutto il mondo e recitare l’Angelus ai piedi di una enorme statua della Madonna che da quella cima, proprio sotto il Monte Bianco, domina tutta la parte più alta della valle.

Ma il Papa aveva espresso il desiderio di essere portato anche sul Monte Bianco, il più in alto possibile, di poter essere lasciato per un quarto d’ora a contemplare in alta quota la maestosità dei ghiacciai e delle vette più alte d’Europa prima di reimbarcarsi per la tappa successiva.

Comandavo allora il reparto elicotteri della Scuola Militare Alpina: un pugno di uomini che, impiegando sei AB-205, si erano conquistati la generale riconoscenza per la meritoria e non facile attività di soccorso in montagna, meritando anche una medaglia d’argento per l’opera svolta in quel particolare impiego.

La decisione di affidare al nostro reparto il trasporto di un personaggio tanto importante non era altro che il riconoscimento dell’indiscussa capacità ed esperienza conquistata sul campo dai miei piloti. E’ poi da notare che i nostri elicotteri erano monoturbina, quindi potenzialmente meno sicuri dei biturbina che pure altri avrebbero potuto mettere a disposizione, anche se da fuori Valle. Ma l’esperienza da noi maturata nell’impiego in montagna a simili quote aveva fatto premio.

La prima decisione da prendere aveva riguardato la scelta del posto adatto a permettere l’incontro diretto del Papa con le cime del massiccio del Monte Bianco. Scartata l’idea di una sosta sulla vetta più alta d’Europa, che permette l’atterraggio soltanto in un punto che è già territorio francese, e che comunque non offriva sufficiente garanzia, dal punto di vista meteorologico, di poter essere avvicinata in qualunque momento della giornata, avevamo individuato una piccola cresta pianeggiante, abbastanza ampia e arrotondata che avrebbe permesso il movimento a piedi in piena tranquillità, senza necessità di particolari misure di sicurezza. Era un perfetto belvedere naturale di fianco alla testata del ghiacciaio della Brenva, sulla sua spalla orientale, poco sotto la Tour Ronde, a circa 3.700 m. di quota.

Fu deciso, in accordo con gli inviati del Vaticano, che si sarebbe esaudito il desiderio del Papa, dopo la sosta a Courmayeur e prima di quella sullo Chétif, per la recita dell’Angelus.

Il Papa giunge ad Aosta la sera del 6 settembre, con il bianco elicottero dell’Aeronautica Militare, normalmente impiegato per trasporto VIP. Atterra allo stadio Puchoz ed io sono lì, confuso nella folla che lo applaude all’uscita del campo sportivo. Dentro di me l’emozione di sapere che domani sarà sul mio elicottero, affidato a noi per il volo più alto e impegnativo del suo programma.

Il giorno dopo il tempo è perfetto, la giornata serena con l’aria limpida e frizzantina porta già con sé l’annuncio dell’autunno imminente. La corona dei monti intorno ad Aosta pare a portata di mano.

Il volo ha inizio al castello “Cantore”, sede della Scuola Militare Alpina, dove nei giorni precedenti era stata appositamente realizzata una piazzola in cemento nel punto più alto del parco, sopra la palestra di roccia.

Primo atterraggio a Courmayeur, nel piazzale del parcheggio degli autobus, opportunamente sgombrato. Una sosta di un’ora poi il decollo verso il Bianco. Man mano che la quota aumenta e i ghiacciai si avvicinano, la vista spazia su uno spettacolo di luce sfolgorante, l’orizzonte si allarga sulle vette più lontane, fino alle inconfondibili sagome del Cervino e del Monte Rosa. Ci posiamo sul punto prescelto e il Papa può scendere sul ghiaccio in lieve pendenza ma sicuro. Mentre ci allontaniamo per non disturbare con il rumore della turbina la pace del luogo, lo vedo incamminarsi verso monte, insieme al Comandante della Scuola Alpina. Saprò poi che a un certo punto ha chiesto di procedere un poco oltre da solo, per restare in silenziosa e solitaria meditazione davanti a simile spettacolo. E c’è una foto, che ha fatto il giro del mondo, che lo ritrae in quel momento da lui tanto desiderato.

Noi ci allontaniamo verso il ghiacciaio del Miage, per non disturbare, e dopo dieci minuti ritorniamo, come previsto, all’atterraggio. E’ ormai mezzogiorno meno venti ed è tempo di decollare perché l’appuntamento sullo Chétif è per il messaggio di mezzogiorno, e verrà trasmesso in mondovisione. Ma il Pontefice pare non voglia staccarsi dalla contemplazione del panorama. Le poche persone del seguito che l’hanno accompagnato fin lassù, stanno a rispettosa distanza, e quindi mi incarico io di fargli presente la cosa. Lo avvicino e toccandomi l’orologio al polso, gli dico “Santità, dobbiamo andare: è quasi mezzogiorno”. Sale quasi a malincuore sull’elicottero e dopo poco siamo in finale per atterrare sulla piazzola, anch’essa realizzata appositamente la settimana prima, sul punto più alto dello Chétif. C’è una gran folla, salita per l’occasione lungo il ripido sentiero, e, avvicinandoci perpendicolarmente all’esile cresta, fa una certa impressione vederla occupata in tutta la sua estensione da tanta gente, con il solo punto di atterraggio tenuto sgombro dai Carabinieri. E’ una cresta talmente stretta che la piazzola in cemento non è sufficiente a contenere i pattini dell’elicottero in tutta la lunghezza: una volta posati al suolo, la parte anteriore dei pattini e tutta la coda sporgono sul vuoto.

Poi ci allontaniamo nuovamente per lasciare libero lo spazio ed andiamo a posarci su un prato della Val Ferret in attesa dell’ordine via radio di ritornare a prendere il Papa.

La discesa finale verso Aosta …prende la via dei monti.

Il fatto è che la massima autorità decolla per prima, ma ad Aosta, luogo di arrivo, dovrà atterrare per ultima, dando il tempo a tutte le altre di essere presenti a riceverla quando giungerà all’atterraggio. Avevamo quindi concordato di far compiere al Papa un largo giro panoramico sui monti meridionali della Valle, per permettere nel frattempo a tutti i personaggi del seguito di portarsi, per la via diretta lungo il fondovalle, dallo Chétif ad Aosta.

La giornata non poteva essere migliore e offriva in ogni direzione un colpo d’occhio sensazionale su tutto l’arco alpino valdostano. Il cielo di un azzurro purissimo e il bianco abbacinante dei ghiacciai sembravano volersi presentare nella loro veste più suggestiva.

Abbiamo fatto quota verso Sud, fino a sorvolare il ghiacciaio del Ruitor poi, piegando a Est, abbiamo sorvolato le testate delle valli Grisanche, Rhemes e Savaranche.

Tanta era la luce che a un certo punto, vedendo che il Papa osservava tutto con grande interesse, ma tenendo gli occhi strizzati per l’eccessiva luminosità, gli ho offerto i miei occhiali da sole che sono stati volentieri accettati e indossati. Osservava il magnifico panorama con attenzione e ha chiesto i nomi delle vette principali che si stagliavano davanti a noi, e quando ci siamo trovati al cospetto dell’imponente mole del Gran Paradiso, dopo averne saputo da me il nome, ha detto: “Ah, questo lo conosco!”. E ci ha guardati con un sorriso leggero di complice ironia.

Siamo ridiscesi verso Aosta lungo la Valle di Cogne, e abbiamo così potuto osservare anche svariati esemplari di stambecchi e camosci che popolano il parco del Gran Paradiso.

Ad Aosta, nello stadio Puchoz, la nostra missione è terminata. Il Papa ha ancora voluto ringraziarci personalmente e ha accettato di buon cuore di farsi fotografare in esclusiva con l’equipaggio che l’aveva accompagnato in volo. Quando l’ho visto allontanarsi sulla papa mobile, ho compreso che quel giorno avevo compiuto il più esclusivo e importante volo della mia vita. Infatti, tempo dopo, un amico ebbe a dirmi: “Ma ti rendi conto che hai portato in volo la persona più importante che ci sia al mondo?”

E’ probabile che avesse ragione, e ripensando in seguito tante volte a questa mia straordinaria esperienza, ho riflettuto su un fatto che ancor oggi mi pare del tutto singolare. Fino all’atterraggio sullo Chétif, il nostro elicottero era stato seguito da innumerevoli altri che trasportavano autorità e seguito di varia importanza, sia di livello nazionale che regionale. C’erano inoltre in volo altri mezzi della Polizia e dei Carabinieri e tutti i nostri spostamenti erano attentamente seguiti e monitorati in una cornice di evidente sicurezza. Dopo l’ultimo decollo dallo Chétif, per il rientro ad Aosta, non ci ha seguito più nessuno. Per la durata di quei 50 minuti, in cui sorvolammo a nostro piacimento le cime, guidati dal solo interesse panoramico e con l’unico intento di far passare il tempo sufficiente affinché tutti potessero essere presenti sul luogo del nostro arrivo, fummo assolutamente soli. Nessun altro elicottero ci seguì e nessuno tentò di collegarsi con noi via radio. Adesso mi pare quasi assurdo, ma per tutto quel tempo nessuno seppe dove si trovava l’elicottero che trasportava il Papa, per la semplice ragione che il volo non seguì nessuna rotta prefissata ma andò semplicemente a zonzo sul filo dei 4.000 metri, discese alle testate delle valli, risalì i costoni, alla ricerca delle più belle visioni panoramiche, sorvolò ghiacciai, nevai e pascoli fioriti, scoprendo man mano le visuali e i colpi d’occhio più suggestivi.

Per la cronaca su quell’elicottero c’erano Giovanni Paolo II, il suo segretario mons. Stanislao Driwisz e il cameriere personale sig. Angelo Gugel, il vescovo di Aosta mons. Ovidio Lari e noi, cioè l’equipaggio di volo: Ten. Col. Federico Vallauri, Magg. Mariano Bortolotti, Ten. Meliande.

Oggi che vedo immense folle accorrere da tutto il mondo per essere presenti agli incontri con un nuovo Papa, paghe di poterlo vedere anche soltanto da lontano, sento di custodire in me un ricordo straordinario ed esclusivo, ed è così che voglio ricordare “il mio Papa”: ancora nel pieno delle forze, seduto accanto al finestrino dell’elicottero, con gli occhi pieni di cielo e delle montagne che furono certamente una sua grande passione.

E mi piace pensare che, entrando in Paradiso, abbia ripetuto a San Pietro la stessa battuta che ci fece allora sorridendo: “Ah, questo lo conosco!”. Grande Papa!

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