1992 Il giorno dell’attacco allo Stato

di Luigi Nigrelli

Quel terribile 23 maggio 1992 mi trovavo a casa e tenevo fra le braccia mia figlia Linda di appena due mesi. Ricordo ancora la sorpresa, quando una edizione del TG annunciò la notizia del terribile attentato di Capaci, in cui furono coinvolti il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta.

Mentre le voci e le immagini si susseguivano a ritmo incalzante, squillò il telefono di casa. “Ti vogliono dal reparto” furono le parole che pronunciò mia moglie quasi intimidita. Risposi immediatamente, ero reperibile, all’altro capo della cornetta un collega di servizio mi invitò a recarmi al più presto in base.

Una volta giunto all’aeroporto di Fontanarossa, sede del 30° gruppo squadroni ALE “Pegaso”, fui informato del motivo della mia convocazione, c’era da allestire un AB 212, che il giorno dopo avrebbe dovuto recarsi a Palermo per accompagnare l’allora capo di stato maggiore dell’esercito.

La mattina successiva di buon’ora, l’equipaggio composto dai piloti maggiore Primo Piferi, serg. Mauro Ancora e dal capo velivolo serg. magg. Luigi Nigrelli, si trovava sui cieli di Sicilia diretto verso il capoluogo, destinazione: aeroporto di Punta Raisi.

Giunti sul posto, imbarcammo a bordo il nostro passeggero ed il suo nutrito seguito.

Durante il tragitto verso Palermo, il passaggio su Capaci è inevitabile, in quell’occasione poi, fu una precisa richiesta del generale che una volta sulla verticale del luogo dell’attentato facessimo alcuni 360° sul punto.

Fu allora che mi resi conto della dimensione di quanto era accaduto e di quanto incredibilmente devastanti erano i danni causati da quella carica di esplosivo.

Sotto di noi un cratere di dimensioni enormi, automobili distrutte, mezzi di tutte le forze dell’ordine sparsi ovunque, uomini che si aggiravano fra le macerie in maniera convulsa.

Ricordo che ci guardammo in faccia con i passeggeri a bordo, e ognuno di noi leggeva nello sguardo dell’altro un senso di disorientamento e di apprensione.

Non ho mai più vissuto una sensazione così intensa come allora: pensai questa è una cosa di una gravità inaudita, come hanno potuto osare tanto?

Pervasi da queste emozioni, raggiungemmo il piccolo aeroporto di Bocca di Falco, dove i nostri passeggeri furono sbarcati e noi rimanemmo in sosta per espletare le operazioni di rifornimento.

Capitò in quel contesto di commentare insieme agli altri componenti dell’equipaggio e a quanti si trovavano lì, quanto avevamo visto, le nostre sensazioni erano di profondo dolore e soprattutto di impotenza di fronte ad un evento di così grande portata. Se la mafia era giunta a tanto, cosa sarebbe potuto ancora succedere?

Lo avremmo scoperto molto presto purtroppo!

Nel mese di luglio dello stesso anno, un altro terribile attentato avrebbe ucciso altri eroici servitori dello Stato, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.

“E’ tutto finito!”, ricordo ancora le parole del giudice Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia quasi in lacrime, rivolto ad un giornalista.

“E’ tutto finito!”

Ma la reazione dello Stato avvenne. Di lì a poco, l’operazione “Vespri siciliani” a cui il mio reparto diede un cospicuo contributo insieme a tanti altri reparti dell’esercito in collaborazione con le forze dell’ordine, fece sì che molti obiettivi venissero raggiunti nella lotta alla mafia, coinvolgendo migliaia di uomini, con il comune intento di porre fine a questa terribile piaga che a quel punto non poteva più essere considerata una cosa di noi siciliani!

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