di Marino Zampiglia
L’ordine del ten. col. Orsini, comandante di Italair, era perentorio: “l’elicottero che arriverà dall’Italia, dovrà decollare da Beirut per Naqoura al massimo alle ore 17.00 locali!”
Per la prima volta, nella mia quasi ventennale attività con gli elicotteri AB 205, ebbi qualche dubbio. Mai, neanche nelle estati più roventi, quando, i velivoli, impegnati in antincendio, consumavano ciascuno, oltre 6 ore di volo giornaliere e mio compito era quello di assicurare una efficienza che prevedeva, malgrado tutto, almeno 7 velivoli in attività antincendio più 2 di scorta, mi aveva assalito la paura di non farcela. In poche ore si doveva disassemblare un velivolo, prepararlo per la spedizione e imbarcarlo.
Contemporaneamente, dovevamo, sbarcare il nuovo elicottero, assemblarlo (montaggio albero principale, piatto oscillante, rotore principale, rotore di coda), effettuare i controlli di bilanciamento e livellamento, fare un seppur breve volo prova e rientrare a Naqoura entro l’ora stabilità.
Il tutto lontano dalla sede stanziale e lavorando all’aperto; ma, c’era un però: la precarietà della situazione politica e la mancanza di sicurezza sull’aeroporto di Beirut, consigliava di iniziare lo smontaggio dell’elicottero da imbarcare, solo nel momento in cui, il C 130 dell’Aeronautica Militare, avrebbe toccato il suolo dell’aeroporto libanese per essere certi che comunque, il 205 con le insegne dell’ONU, potesse essere parcato nella pancia del velivolo italiano.
Il pomeriggio del 16 maggio, con le spalle ricurve e a testa bassa per la preoccupazione e la responsabilità mi recai nell’ufficio dell’amico e collega Andrea Manzi, punto di forza del nostro “contingente”. Senza preamboli, gli chiesi di darmi una mano, magari un semplice sostegno morale. Lui, Andrea, fece di più, decise di venire a Beirut e collaborare all’intera operazione. Il mattino dopo, 17 maggio alle 09.30, l’AB 205 E.I. 273 era parcheggiato su un piazzale secondario dell’aeroporto di Beirut pronto ad essere aggredito da 4 specialisti. Non successe niente fino alle 11.15, quando con notevole ritardo, il carrello di atterraggio del C 130 toccò il suolo libanese.
Da quel momento, iniziarono le operazioni per la sostituzione del velivolo la sequenza delle quali, mi aveva accompagnato per tutta la precedente insonne notte.
Mentre Andrea, dirigeva le operazioni di smontaggio del 273, io seguivo con ansia lo sbarco del nuovo elicottero. Poi, con la seconda squadra di specialisti, partecipai attivamente al lavoro di assemblaggio dell’ultimo arrivato: l’E.I. 342. Le due squadre erano così affiatate, che tutto andò per il verso giusto; avemmo la possibilità di fermarci per la “pausa pranzo”. A metà giornata, il maggiore Postorino, in quel tempo impiegato come GLO dell’ONU a Beirut, ci portò panini e bibite. Alle 14.00, il C 130, decollò con al suo interno il nostro elicottero. Finalmente, alle ore 14.45, il compianto ten. col. Cervellini, premeva lo starter: il classico fischio della turbina e il primo giro delle pale del rotore principale, certificavano che ce l’avevamo fatta. In 3 ore e mezza, avevamo fatto l’impresa.