1973 Raffaele Alessio: A volte ci vuole più coraggio a commettere una viltà!

Treviso, aeroporto S. Giuseppe, SAL della “Serenissima”.

Non faccio in tempo a parcheggiare e scendere dall’auto che il sottufficiale di servizio mi raggiunge e tutto concitato mi fa:

«Signor capitano, La vuole, alla svelta, il Comandante del Reggimento; l’attenderà in aeroporto per le ore 09,30; chiede conferma».

Guardo, perplesso, il sottufficiale, guardo il cielo…, riguardo nuovamente il sergente e… mi scappa:

«Sta scherzando?»

Questa volta è il sottufficiale a guardarmi perplesso per cui, rendendomi conto dell’equivoco, mi affretto a precisare:

«Scusi sergente, mi sto riferendo al Comandante dei Lagunari: ma non lo vede il cielo il Colonnello?»

Il cielo, infatti, non era del tutto coperto ma nuvoloni, alti e bassi, in rapido movimento non lasciavano presagire nulla di favorevole e opportuno per un velivolo come il nostro, parlo dell’L 21 B, il famoso “paperozzo” di 45 anni fa.

Attimi di riflessione.

No! Forse il Colonnello ha ragione, mi correggo. Qui siamo a Treviso, Lui è al Lido e forse lì c’è addirittura il sole o comunque, un tempo diverso e meno preoccupante.

Ancora poco convinto, ripenso: fra Treviso e Venezia-Lido non c’è grande distanza e dovrei ritenere che anche lì il tempo non debba essere molto diverso e favorevole.

Vediamo un po’!

Il Colonnello Ceccato, Comandante del Rgt Lagunari “Serenissima”, era un vero fanatico del volo, un amicone della SAL tutta e del sottoscritto, voglioso sempre di volare, mio appassionato frequente “ospite-viaggiatore”. Come faccio a deluderlo?

Comincio col chiamare il CDA di partenza: Treviso, che m’informa di una situazione meteo non ideale, in evoluzione, e che comunque non consentiva ancora “al Piper” di avere l’autorizzazione al volo, e il permesso di decollo.

Chiamo quindi il CDA di arrivo del Lido, che mi fornisce una situazione diversa, migliore di quella di “casa mia”.

Prima di procedere sarà bene comunque precisare che a quel tempo noi P.O. possedevamo un brevetto che permetteva solo il “volo a vista”, e che i nostri aerei non disponevano ancora della strumentazione necessaria per volare di notte o in condizioni di scarsa visibilità. L’abilitazione richiedeva la frequenza di un corso di volo strumentale e notturno che personalmente seguii dopo qualche tempo in Alghero a cura dei nostri amici dell’Aeronautica militare.

Torniamo a noi. Allora che faccio? L’esperienza, non tanto quella riferita a oltre un migliaio di ore di volo, quanto quella propria del “mio naso”, memore di tutte le paure digerite in tanti anni volati nei cieli dell’Alto Veneto, mi ricordava, anzi m’intimava: attieniti alle regole e, nella fattispecie, alla regola numero 1!

La regola: “un pilota d’aerei, se ricordo in modo esatto, “è il primo e unico responsabile della missione e se ritiene che esistano condizioni meteo per cui possa essere messa in pericolo la propria incolumità e/o la salvaguardia del proprio mezzo aereo, ha il dovere, senza il timore di giudizi o di conseguenze di diversa natura, disciplinari, penali o altro, decidere di non alzarsi in volo: in poche parole, può rifiutarsi, impunemente.”

A questo punto, ciò premesso, la risposta alla richiesta del Comandante non doveva, né poteva, essere che: “Grazie, oggi non posso!” Magari, ripassi domani, se ci sarà un bel sole! Ma…! Mi viene in mente “Amleto”: “Essere o non essere?” Questo è il problema! “Decollare o non decollare”, questo è il mio di problema!

Paura? Vergogna a dire di no? Timore di apparire, di essere, di fare il fifone?

No! Non devi! Non dovresti, e l’hai spiegato: è doveroso, logico, perfino previsto!

Ma…, come faccio a dire di no a uno come Ceccato, mio Comandante, mio estimatore, mio Superiore? Cosa penserà di me? Che giudizio, Lui, finirà col farsi di un pilota, del suo pilota personale, di un ufficiale, e, perché no, di un “amico?”

Uno sguardo al cielo, ancora qualche istante di riflessione.

Le nubi, basse e alte, non erano del tutto compatte e la visibilità era accettabile; il volo del resto veniva implicitamente ammesso dal consenso del CDA, e infine si

trattava di “un salto”, cioè di pochi minuti di volo.

Basta, poche chiacchere! Vado.

Monto sull’aereo – già approntato dal mio fido sottufficiale motorista –, “tutto motore, stacco”, e prendo rapidamente quota per superare le nubi più alte e per una maggiore – più lunga – visibilità.

Rotta 180°, all’incirca, vento laterale, a raffiche, da NE, nuvolaglia, bassa e alta, sparsa, in rapido movimento, squarci d’azzurro: tutto Ok!

L’aereo, anche se “a sbalzi” procede, la deriva è forte, la laguna è ormai vicina: tutto Ok? Manco per niente! Non so come, non so perché – bugiardo: ma sopra, cosa hai raccontato? – non vedo più niente. Finisco in un nuvolone, per la precisione, è il nuvolone che sopraggiungendo retro-lateralmente, a incredibile velocità, m’ingoia letteralmente e buona notte!

Lì per lì non faccio una piega; per qualche momento “reggo”, solo per pochi secondi però, perché immediatamente non capisco più niente; il motore perde giri, la manetta del gas s’ingrippa, palina-paletta… per i fatti loro, l’ala sinistra “pende” sempre più, stallo…vite! (Serpe, anch’io: “ciao Wanda, mia moglie, ciao Elena, mia figlia…!”) Stranamente, però, non sento terrore…(?): forse perché finché c’è vita, c’è… speranza? Non credo, certamente incoscienza…

Un giro? Forse due? Non saprei dire…: so solo che ad un certo punto “cascando realmente…dalla nuvola”, nel senso che “ne esco” bucandone la base, per mia fortuna abbastanza alta dal suolo, mi appare il mare e il ritorno alla vita.

Ed è invece proprio in quel preciso momento del “recupero” che mi avvolge il terrore per quanto mi stava per accadere e il ricordo, tardivo, di una frase di un vecchio saggio di cui non ricordo il nome, diventata poi il mio credo per tutto il resto della vita, ritrovandomi in circostanze analoghe: “A volte ci vuole più coraggio a commettere una viltà!”

 

Raffaele Alessio

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