Dieci anni dall’incidente di volo

a cura del Col. Marino Zampiglia

L’incidente che ha causato la morte del Generale Gian Giacomo Calligaris e del Capitano Paolo Lozzi, ha colpito profondamente l’animo di chi aveva avuto l’occasione di conoscerli come comandanti e colleghi. segnando profondamente la vita di chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona.
Da parte mia, con il Generale Calligaris, solo dopo qualche tempo ho scoperto alcune coincidenze degli anni trascorsi nei Balcani che pur senza mai incontrarci, ci hanno visto protagonisti di alcuni eventi che hanno segnato la storia di quel martoriato territorio e il Capitano Lozzi, anch’esso mai incontrato, figlio del territorio Falisco, mi porta a ricordare i miei anni giovanili, condivisi con i miei familiari, trascorsi a studiare gli affreschi della monumentale Basilica di San Flaviano, dove con la mia futura moglie, abbiamo poi voluto celebrare il nostro matrimonio.

Generale Giangiacomo Calligaris – Momento di riflessione

Tutto ha avuto inizio da un articolo scritto dal Generale Calligaris, allora Colonnello della Brigata Garibaldi che racconta l’entrata in Kosovo dei militari italiani nella notte del 12 giugno1999 per raggiungere quella che sarà la sede del comando del contingente italiano nella missione KFOR in Kosovo: l’hotel Metohija nella città di Pec.
È un racconto verità che evidenzia il dolore, la sofferenza, la paura, l’incredulità di una situazione che per i militari italiani era sconosciuta fino a quel momento. Non manca però la speranza, la fiducia e la certezza di fare la cosa giusta per dare coraggio e speranza a popolazioni che hanno perso tutto e che provano a ritornare a vivere giorno dopo giorno
Poi, l’orgoglio di essere italiano, per aver dato un futuro a quella gente.
Un racconto straordinario, pensato e scritto con il cuore che illustra la realtà di quei giorni con l’Europa e il mondo con il fiato sospeso per il timore dell’inizio di una guerra totale. Proprio come nella complicata situazione vissuta negli ultimi due anni, con la guerra tra Russia e Ucraina e la complessa situazione nel vicino Medio Oriente.
Quelli, furono giorni indimenticabili per coloro che li hanno vissuti e che hanno visto le malvagità che sempre e ovunque, sono frutto delle guerre. E’ vero, qualsiasi guerra, porta dolore, sofferenza distruzione come in questo triste e buio periodo; all’epoca, paradossalmente, come oggi, si trattò della terra dei monasteri, molti dei quali rasi al suolo, così come altrettante moschee che insistevano in quel bellissimo territorio.
La coincidenza, meglio le coincidenze di cui ho accennato all’inizio di queste riflessioni, è evidenziata dal fatto, che quel 12 giugno 1999, mi trovavo a bordo di un elicottero del Battaglione dell’Aviazione Leggera Francese, con il compito di proteggere le truppe NATO che entravano in Kosovo, non sapendo che sul terreno, con la Brigata Garibaldi, operava il futuro Comandante dell’Aviazione dell’Esercito.
Anche la stessa sede del Comando della Brigata, descritta dal Colonnello Calligaris, “Abbiamo occupato un bell’albergo, il Metohija; per fortuna siamo arrivati prima che fosse bruciato e saccheggiato dai serbi in fuga, verso la RFI impauriti della vendetta degli albanesi,” rappresenta un’altra coincidenza, infatti, il destino ha voluto che nel 2003, fossi io stesso, con il personale della mia cellula, a chiudere definitivamente quel Comando che con l’accorpamento dei contingenti italiano e tedesco, diede vita alla Brigata italo-tedesca, il cui Comando fu trasferito nella città di Prizren, nel sud del Kosovo. Infine, nel proseguimento della missione, il Colonnello Calligaris, svolse l’incarico di Capo cellula JIC-TAT Pec, compito da me successivamente svolto e che mi onora per aver avuto una così importante personalità come predecessore.

Quello che segue, è un racconto straordinario, pensato e scritto con il cuore dall’allora Colonnello Calligaris, che illustra la realtà di quei giorni con l’Europa e il mondo con il fiato sospeso per il timore dell’inizio di una guerra totale. Proprio come nella complicata situazione vissuta negli ultimi due anni, con la guerra Russia Ucraina e la complessa situazione nel vicino Medio Oriente. Furono dei giorni indimenticabili per coloro che li hanno vissuti e che hanno visto le malvagità che sempre e ovunque, sono frutto delle guerre.
È vero, qualsiasi guerra, porta dolore, sofferenza distruzione come in questo triste e buio periodo; all’epoca, paradossalmente, come oggi, si trattò della terra dei monasteri, molti dei quali rasi al suolo, così come altrettanto per le moschee di quel bellissimo territorio.

Kosovo, mezzanotte del 12 giugno 1999
Siamo entrati in Kosovo di notte, un po’ preoccupati per quello che avremmo dovuto affrontare. L’esercito jugoslavo era ancora lì. Poiché dovevamo attraversare l’area di competenza delle forze britanniche, eravamo guidati da veicoli dell’esercito britannico, non riesco a ricordare se erano RGR o la 4a Brigata LO britannica, ma ricordo perfettamente che erano in normali Land Rover.
Eravamo molto meravigliati quando ci siamo resi conto che la popolazione albanese ci considerava dei liberatori. Gli ricordavamo i bersaglieri italiani della seconda guerra mondiale.
È buio, molto buio, fa freddo, molto freddo, anche a giugno.
In Kosovo perfino il tempo è una minaccia. Il vento che arriva alle nostre narici ci porta odori ben noti. Case in fiamme, corpi decomposti, spazzatura, tutto questo puzza, e noi ci siamo abituati subito a tutto ciò. Sono odori di guerra.
Siamo arrivati con i boccaporti aperti, con la piuma fiammeggiante al vento, mostrando molto orgogliosamente la nostra lunga tradizione di vestire divise eleganti, anche nell’esercito. Abbiamo persino una foto, dove ci dimostriamo orgogliosi.
Da edifici abbandonati emergono molti tipi di animali, i padroni delle case abbandonate e dei dintorni, e da edifici distrutti dall’odio incommensurabile appaiono piccole teste bionde che mostrando grande gioia di vivere perché noi eravamo lì ed eravamo i loro soccorritori e salvatori. Tutto ciò ci ha reso orgogliosi di esserci.
Il territorio del Kosovo è un cristallo rotto, detriti fumanti, tomba della razza e della ragione. Si dice che l’inferno non esiste, ma esiste e vi assicuro che l’ho visto ed era in Kosovo.
Quando siamo arrivati a Pec, abbiamo visto molte case in fiamme e una cosa davvero sorprendente, una città assolutamente triste e vuota, non credendo che fossimo in Europa, la vecchia Europa, l’origine della democrazia, la nostra vecchia amata Europa.
Abbiamo occupato un bell’albergo, il Metohija; per fortuna siamo arrivati prima che fosse bruciato e saccheggiato dai serbi in fuga, verso la RFI impauriti della vendetta degli albanesi.
Nell’hotel, non c’è acqua calda, niente servizio in camera, siamo ammassati in tre nella stessa stanza, senza servizio lavanderia ma ci siamo abituati, il dovere innanzi tutto. Abbiamo però tonnellate di pasta e con quella riusciremo a farcela, siamo più forti delle avversità, siamo Bersaglieri, quelli con la penna nera.
Abbiamo dispiegato le nostre forze in tutta la nostra area di responsabilità per controllare e far rispettare la legge e l’ordine, siamo andati nelle città importanti come Dakovica o Decane, e abbiamo lasciato nella citta di Istok la Legione straniera spagnola preceduta dalla sua fama.
La popolazione ha iniziato il suo ritorno per trovare le proprie case e i loro oggetti bruciati o saccheggiati, non ci sono più tetti o ripari, solo la paura di vivere giorno per giorno. Noi siamo lì per dare loro fiducia e una vita stabile in modo che possano iniziare la loro; per alcuni una nuova vita, per altri continuare da ciò che hanno lasciato quando sono stati costretti a fuggire.
Abbiamo cominciato a capire che la pulizia etnica è stata enorme proprio come i Media lo hanno riportato per mesi. Continuiamo a scoprire ogni giorno fosse comuni, 40 persone, 25 persone, 150 persone, tutte sparse nella nostra area di responsabilità. Siamo sicuri che quando arriverà il resto del contingente, formato da spagnoli e portoghesi, ne troveranno molte altre. È difficile credere che qualcuno possa fare questo senza avere alcun rimorso.
Nel nostro ospedale ogni giorno arrivano bambini feriti molto gravemente da uno dei più brutti dispositivi utilizzati, le mine. Abbiamo iniziato a dare istruzioni chiare e concise alla popolazione su come trattarle, ma i bambini sono sempre bambini, e vogliono giocare. È triste, molto triste.
Pattugliamo le strade in tenuta completa, casco balistico con le famose piume e occhiali neri, più sono scuri meglio è, gilet antiproiettile e fettuccia. Ovviamente con l’arma pronta e i guanti con le dita tagliate per poter sparare in caso di problemi.
Abbiamo iniziato a scoprire nascondigli di armi, di tutti i tipi, dai vecchi moschetti probabilmente usati sul campo di battaglia della Somme nella prima Guerra mondiale ai nuovi MANPACS.
Uno dei lavori più impegnativi e faticosi è quello di presidiare i posti di blocco. Bisogna essere cortesi e allo stesso tempo duri e decisi e tutto questo senza conoscere una sola parola di albanese o serbo, pronti al peggio ma allo stesso tempo coscienti che con il nostro addestramento e l’aiuto di Dio avremmo avuto successo.
I kosovari sono abituati ad avere armi, non importa se sono legali o meno, le hanno e basta. Le usano per difendersi o per cacciare o per celebrare eventi domestici come un matrimonio o un funerale o anche un battesimo, ecco perché ai posti di blocco confischiamo molte armi. A loro non è permesso averle. L’UCK vuole essere la nuova polizia o l’esercito, ecco perché vogliono le armi, noi non sanzioneremo il loro comportamento ma nello stesso tempo, non lo permetteremo.
Abbiamo dato loro delle scadenze per consegnare le armi, a iniziare dalle più pericolose per noi, come le mitragliatrici o le bombe a mano, compresi i mortai e le loro munizioni o le armi antiaeree, così possiamo controllarle e tenerle in un posto sicuro.
Questa parte del Kosovo è conosciuta come Methoija, “Terra dei monasteri”, abbiamo gli esempi più sorprendenti di affreschi medievali del XIII e XIV secolo nelle chiese sparse in tutto il Kosovo. Dobbiamo proteggerli e li stiamo proteggendo affinché il patrimonio serbo sia conservato e mantenuto vivo e in condizioni tali affinché le prossime generazioni di cittadini e gli stranieri possano godere della loro vista.
Questo è un altro lavoro che stiamo portando avanti, è impegnativo come lo sono i posti di blocco, con in più il rischio aggiunto della possibilità di un attacco da parte degli albanesi che cercano di eliminare tutte le tracce della presenza serba in Kosovo. Tutto ciò è successo, ma fortunatamente eravamo consapevoli e pronti, evitando così vittime e danni alle strutture.
La nostra brigata è la prima termini di armi sequestrate e armi fornite dall’UCK volontariamente man mano che arrivano le scadenze concordate e questo è a causa del nostro buon comportamento.
Settembre è molto vicino, siamo sempre più vicini alle nostre caserme, al ritorno alla vita normale, ai tempi per dimenticare lo stress da battaglia, per dimenticare l’odore della battaglia, per liberarsi delle divise puzzolenti e per dare un caldo benvenuto al prossimo nucleo italiano della Brigata Multinazionale, la Brigata Ariete. Stiamo ricevendo i complimenti da tutti per il lavoro ben fatto. Ne siamo molto orgogliosi. L’Italia è orgogliosa di noi. Siamo italiani, lo spirito delle legioni romane è con noi.
Sull’immenso campo di battaglia, dove ogni buco è una trincea e ogni aratore è un guerriero, ogni giorno la luce trae ancora speranza grazie alla brigata Garibaldi.
Col. IT Army Calligaris

leggi la versione originale in inglese

Capitano Paolo Lozzi Oltre il sole
Riflessioni di amici, compagni di Accademia e di Corso

Se ci trovassimo a camminare oggi in quell’angolo di bosco, dove il vostro ultimo volo ha trovato il suo tragico epilogo, probabilmente non ne noteremmo irregolarità e ci sembrerebbe uguale agli altri scorci del territorio della Tuscia: nei dieci anni trascorsi, la natura, nel suo immutabile ciclo, ha fatto in modo di nascondere alla vista degli ignari passanti i segni di quel terribile incidente, avvolgendo con i suoi alberi e coprendo sotto le sue rocce le vostre ultime tracce.
Ma se alzassimo gli occhi al cielo, forse per trattenere ancora una volta quelle lacrime che amare affiorano al vostro pensiero, troveremmo lo stesso blu immutabile, magari velato dalle stesse nuvole di quelle fatidiche ore, solenne come il silenzio assordante che rimbomba dentro di noi quando ci attraversano i ricordi di ciò che è stato e ora non è più.
Perché dieci anni sono già passati, da quando quella mattina del 23 gennaio 2014, Voi, Generale Giangiacomo Calligaris e Capitano Paolo Lozzi, avete incrociato le vostre vite nel modo più terribile e immutabile, e seguendo la passione del volo, siete stati condotti dal fato su quell’elicottero AB206 che mai avrebbe fatto ritorno, ma mai avrebbe smesso di volare nei nostri cuori.
Caro Paolo, se potessi vedere i tuoi colleghi del 189° “Orgoglio” e del corso “Eridano” oggi, ci troveresti un po’ come quel bosco: cambiato. Esteriormente abbiamo coperto negli anni la nostra giovinezza e fatto grandi passi, professionalmente tutti insieme, singolarmente ciascuno con la sua vita e le sue scelte, tanto che potresti quasi pensare che di quel giorno non sia rimasta traccia su di noi. Ma tu sai che nel nostro percorso di vita non siamo più degli ignari passanti: l’averti incrociato, chi per quel solo interminabile momento, chi nella fugacità degli anni Modenesi, Torinesi e Viterbesi, ha fatto sì che quel giorno lasciasse una cicatrice terribile su di noi, come quelle lasciate dai vulcani che hanno plasmato la tua terra, bella ed unica come solo la tua amicizia ha saputo essere.
Forse dieci anni non sono tanti per questo e finché vivremo, il tempo non avrà potere su di noi: basta un minimo particolare nella vita di tutti i giorni, e già torniamo con la memoria ai momenti trascorsi al tuo fianco, sentendoti ancora vicino, proprio come quel cielo blu che ci sovrasta e dove ti cerchiamo ora con lo sguardo, sperando di incrociare il tuo sorriso o i tuoi occhi luminosi.
Succede che la mattina, quando ci troviamo malvolentieri nel traffico, mentre cambiamo distrattamente la stazione radio, prendiamo quella frequenza su cui passano “Don’t stop me now” dei Queen, e non possiamo fare a meno di sorridere pensando a te che la cantavi a squarciagola stonando ogni verso.
Succede che, durante la giornata, qualcuno nomina di sfuggita Montefiascone o il Lago di Bolsena, e ci sembra di sentirti decantare la bellezza di quei luoghi, con quella luce negli occhi che solo i paesaggi della tua terra sapevano darti.
Succede che la sera, quando ci buttiamo stravolti nel letto, ti invidiamo ancora quell’energia che trovavi sempre per fare festa e andare a ballare nonostante la sveglia inesorabile delle poche ore successive.
Succede che ogni volta che abbracciamo i nostri figli o alziamo le sciabole “a ponte” per i colleghi appena sposati, nel provare tanta felicità, ne sacrifichiamo sempre volentieri una buona fetta alla tristezza del non poterle condividere con te, solo per averti così nei nostri pensieri e saperci un po’ meno amareggiati col fato.
Caro Paolo, hai sorvolato le nostre vite come amavi fare con la tua Tuscia, alcune solo per un breve momento, da lontano; altre a più riprese, con passaggi radenti, ma lasciando un segno indelebile in tutte, difficilmente definibile a parole. Come condensare tutto quello che sentiamo nel cuore e abbiamo nella mente quando, idealmente, ci fermiamo davanti a te? Come fermare, per assaporarle di nuovo, tutte quelle emozioni che ora sono unite in un turbinio travolgente, che ci fa tremare la voce, brillare gli occhi, sorridere e spesso, versare quelle lacrime che ormai sappiamo essere fedeli compagne per la vita? Come spiegare la felicità di un.a amicizia nata a Foligno, a una lettera di distanza tra i lunghi elenchi degli aspiranti cadetti, di una sfida superata insieme, di una gara a cavallo, della specializzazione sulla blindo centauro o sul carro armato ariete, l’orgoglio di vederti tra i primi, il saperti felice e vicino a casa? Come spiegare tutto questo, quando così poco tempo ci è stato dato per sentire le tue parole, e così tanto, troppo, per vivere il tuo ricordo?
Quella mattina del 23 gennaio 2014, noi ti immaginiamo sorridente, con quella giusta dose di adrenalina ed ansia perché sapevi che il destino che ti eri costruito fino a quel giorno ti stava portando a volare con il Comandante dell’Aviazione dell’Esercito, il Generale Calligaris, e forse noi ti ci vedevamo già in quel ruolo, con la tua naturale autorevolezza, le tue capacità, le tue brillanti doti. Quella mattina, il fato vi ha presi per mano, portandovi più in alto di quanto avreste mai sperato di arrivare, per poi lasciarvi lì, stupendamente inarrivabili, tragicamente irraggiungibili
Lassù, in quel cielo blu come i vostri baschi, dove eravate padroni delle vostre vite e fieri di volare in uniforme, avete realizzato quello che era un sogno da quando eravate piccoli; vi siete scambiati qualche chiacchiera, inizialmente per stemperare la formalità del momento, divenuta poi più consapevole e profonda, come deve essere tra due professionisti che hanno scelto la stessa vita ricca di soddisfazioni, di responsabilità, di impegni e sacrifici, e rischi; siamo sicuri che nessuna delle parole scambiate vi abbiano distratto da ciò che stavate facendo; questo, lo abbiamo immaginato noi, per riempire quel vuoto che già avevate lasciato nei vostri affetti dal momento in cui eravate decollati. La vita vi aveva portato fino ad allora così in alto, nelle soddisfazioni personali e in quelle lavorative, dove vi meritavate di stare, che tutti noi sognavamo solo altre migliori fortune.
Caro Paolo, ci sentivamo così spensierati in quegli anni, che il fato ci sembrava potesse essere solamente foriero di nuove meraviglie: mai avevamo considerato che, ai suoi occhi, a nulla valgono la nostra bontà d’animo, il nostro buon cuore, l’amor patrio, lo spirito di sacrificio, la lealtà, l’onore. Ha scelto voi, vi ha presi per mano e uniti in quel giorno che mai nessuno di noi dimenticherà perché ce l’ha scritto dentro.
Sai Paolo, la nostra reazione a questi dieci calendari passati, forse ti sorprenderà, perché sorprende anche noi: è come se tu non ti fossi mai allontanato veramente dalle nostre vite, perché, seppure la natura provi a mettere alberi e rocce sul nostro cuore, in esse hai lasciato qualcosa che è invincibile, che ha ingannato anche il destino che ti ha portato via ed è divenuto eterno: una parte di te, quella parte che ci ha sempre urlato “VIVI”, come nella poesia che da piccolo avevi scritto ai tuoi genitori, e che ora è appesa nei nostri cuori.
E questa urgenza di vivere nel modo più bello e forte che ci sia, è quello che hai continuato ad insegnarci col tuo ultimo decollo, quello per cui spesso vogliamo incolpare il caso, per non accettare che il premio per la tua incredibile capacità possa essere stato un volo dal quale non atterrare mai. Ma anche in questo hai saputo guardare molto più avanti di tutti noi, comprendendo l’importanza del vivere al massimo, per non farsi mai trovare, in quel momento beffardo del destino, anche solo un gradino più in basso di dove si è sempre sognato di essere.
Ne è testimone quella sensazione di meraviglia e fierezza che ci assale quando vediamo un elicottero militare volare; ne è testimone la certezza che abbiamo che ognuno di noi, con la tua passione e la tua forza di volontà, può arrivare ovunque, anche fino al sole, e forse anche più in su.
Arrivederci Paolo, cieli blu.

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