1993 Mozambico… Vent’anni dopo

di Gianfranco Magi

Nel lontano 1993 fui inviato in Mozambico quale comandante del gruppo di volo Italale Albatros, gruppo di volo che era inquadrato nel contingente ONUMOZ del quale facevano inoltre parte il Battaglione alpini “Susa”, un ospedale da campo, un reparto logistico (tutti alpini dell’allora 4° Corpo d’Armata). Il compito primario era quello di riportare la pace in un paese martoriato da oltre trent’anni di guerre fratricide garantendo inoltre le libere elezioni. Il nostro intervento in quel lontano paese avvenne in seguito agli accordi di pace che si raggiunsero dopo una lunga opera di mediazione, durata 27 mesi, iniziata e condotta a termine, con l’appoggio delle Nazioni Unite, dalla Comunità di Sant’Egidio, rappresentata da Andrea Riccardi, che con queste parole introduceva i lavori per la pace: «Questa casa, questo antico monastero, si apre in questi giorni come una casa mozambicana per i mozambicani (…) Abbiamo la consapevolezza di avere innanzi mozambicani patrioti, veramente africani, senza la presenza di esterni. Ciascuno di voi ha radici profonde nel paese. La vostra storia si chiama Mozambico. Il vostro futuro si chiama Mozambico. Noi stessi siamo qui come ospitanti di un evento e di un incontro che sentiamo totalmente mozambicani. In questa prospettiva la nostra presenza intende essere forte per quel che riguarda l’amicizia, ma discreta e rispettosa.» Gli accordi, firmati dal presidente di allora del Mozambico, capo del Frelimo Joaquin Chissano e dal capo del Renamo, Alfonso Dhlakama, divennero operativi il 15 ottobre 1992. Le Nazioni Unite inviarono un contingente di pace con lo scopo di sorvegliare la fase di transizione alla democrazia. Il passaggio fu completato in pochi anni, e nel 1995 l’ONUMOZ lasciò il paese. Fu una vera avventura quella che ci riservò il destino in terra mozambicana. I nostri velivoli (8 elicotteri e 3 aerei leggeri) furono imbarcati sulla nave mozambicana Kintampo nel porto di La Spezia, mentre l’intero contingente raggiungeva il Mozambico su voli charter con destinazione Beira. L’impatto con la terra africana non fu dei più facili: caldo afoso, zanzare, degrado, miseria e quella sorta di autarchia che porta i potenti a prevalere sui più deboli, sono stati i primi nemici. Sul porto di Beira con una temperatura media di 45° ed un’umidità fissa al 100% dovemmo riassemblare i nostri velivoli per decollare alla volta di Chimoio sede del contingente italiano, località situata a 2/3 di quel corridoio che da Beira porta in Zimbawe e che di lì a poco, partiti gli zimbawani, sarebbe stato sotto il nostro controllo. I primi giorni furono al limite della vivibilità: su un fitto canneto, dove si nascondevano sgraditi ospiti enormi serpenti, sarebbe dovuto sorgere il nostro accampamento; per due settimane dormimmo stipati a bordo degli spaziosi elicotteri CH 47 C, poi, piano piano, quasi contagiati dal lento ritmo dei mozambicani, è sorta la nostra tendopoli e, di lì a poco, tutto ha assunto connotati almeno dignitosi. Gli zimbawani ci passarono quella che veniva definita “la patata bollente” cioè il controllo del corridoio e rimpatriarono senza i rimpianti del popolo mozambicano che non aveva mai gradito la loro prepotente presenza. Memore dell’avventura vissuta in terra slava dove subimmo l’abbattimento di un elicottero in Croazia con la perdita di numerose vite umane, nel primo periodo ci muovemmo con molta circospezione perché ignari di cosa potesse accaderci in un paese di cui conoscevamo poco o niente e quel poco ci era stato descritto come estremamente preoccupante (guerriglia, delinquenza, violenza, corruzione). Devo dire e mi sia consentita anche un poco di immodestia, che grazie al nostro comportamento, ci accattivammo subito le simpatie del popolo mozambicano, Riuscimmo ad infondere loro fiducia e sicurezza, permettendo loro di uscire a poco a poco dai vari nascondigli e riprendere a vivere ma soprattutto a credere in una nuova vita nella speranza della pace. Va messo in evidenza lo stato di povertà in cui viveva questa gente ridotta in quelle condizioni dopo 30 anni di guerra fratricida scaturita dall’allontanamento da parte del Signor 20/24 (così veniva chiamato il capo della FRELIMO) di tutti i portoghesi e dall’assunzione di tutti i poteri come Capo di Governo… senza elezioni. Grande era la felicità di questa gente che voleva esternare la simpatia nei nostri confronti e ringraziarci per aver dato loro fiducia e speranza in un avvenire migliore. Già ma quali erano nostri compiti? Oltre all’importanza strategica di garantire, mediante il controllo del corridoio che da Beira raggiunge lo Zimbawe, il libero afflusso di tutte le merci sia per rotaia che su strada, l’importanza del controllo degli oleodotti, la ricerca ed il disinnesco di mine per garantire sicurezza negli spostamenti, avevamo come compito principale quello di garantire le libere elezioni per poter formare un governo regolarmente eletto dal popolo (compito non certo facile anche a causa del caos in cui viveva il paese al momento: gente terrorizzata in costante fuga o nascosta nella boscaglia; dati anagrafici sconosciuti tanto da non avere la più pallida idea di quanto fosse la popolazione al momento e chi avesse il diritto al voto, ecc.). Dopo circa nove mesi lasciai il Mozambico per l’avvicendamento al comando con un altro collega. Il Governatore di Beira in persona volle incontrarmi per salutarmi e congratularsi per l’enorme attività svolta anche in favore della popolazione civile nelle varie missioni di recupero feriti e trasporto degli stessi nel nostro ospedale. Non ho seguito più di tanto gli ulteriori sviluppi e le vicissitudini di quel paese (anche perché dopo alcuni mesi sono stato inviato in Francia per ricoprire un nuovo incarico in ambito NATO). So che ci furono elezioni (più o meno regolari) vinte dalla Frelimo ed accettate dalla popolazione. A bordo dell’aereo che mi riportava in Italia il mio pensiero ritornava spesso sulla canzone di quel cantante mozambicano “que serà” con la quale fummo accolti al nostro arrivo. Già “que serà?” E’ un dubbio che ancora adesso rimane!

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