L’ultimo volo della “Fenice”

Una lunga e rumorosa corsa di pochi secondi e il mastodontico “Antonov 124” si solleva dalla pista dell’aeroporto di Herat, sospinto dai suoi 4 potenti motori. Dietro di sé, una nuvola di polvere si disperde lasciando solo silenzio. Al suo interno 4 elicotteri AH-129 “Mangusta”, che dopo aver garantito fino agli ultimi giorni la sicurezza della base di “Camp Arena”, rientrano dal Teatro afghano. Termina così un’avventura iniziata oltre 14 anni fa, quando i primi elicotteri raggiunsero la base di Herat, nel giugno 2007, per dare inizio a una delle più importanti e lunghe missioni estere dell’Aviazione dell’Esercito (AVES).
Anni impegnativi, in cui gli equipaggi, provenienti dal 7° Reggimento “Vega”, dal 5° Reggimento “Rigel”, dal 1° Reggimento “Antares” e dal 3° Reggimento “Aldebaran”, cui si sono aggiunte poi altre importanti componenti, si sono avvicendati andando a comporre la “Fenice” che, come il mitologico uccello, si è sempre rigenerata portando a termine, con successo, tutte le missioni di volo assegnate.
Fare un resoconto di un periodo così lungo non è affatto facile.
Si potrebbe fare l’elenco delle missioni svolte o ricordare le migliaia di ore volate dai vari assetti in Teatro, ma sarebbe riduttivo e non trasmetterebbe completamente la vera essenza di quello che è stato, per ogni basco azzurro, servire in questa unità.
Per comprendere ciò che l’Afghanistan rappresenta per chi ha vissuto questa indimenticabile esperienza, si dovrebbe parlare del sudore di quanti con temperature oltre i 40° C, hanno lavorato in manutenzione per permettere agli elicotteri di andare in volo; o del freddo dei gelidi e lunghi inverni sofferto dai tecnici di linea; dovrebbero essere contate le lacrime di chi ha visto la morte in faccia, piangendo sulle bare dei fratelli d’armi caduti; dovrebbero essere rivissuti i momenti di paura e di tensione quando i proiettili colpivano le fusoliere degli elicotteri o quando gli elicotteri CH-47, pur di supportare il personale, atterravano a pieno carico in condizioni marginali, scomparendo in una enorme nuvola di polvere. Si dovrebbe pensare alle silenziose notti stellate, che solo l’Afghanistan regala; ai tramonti infuocati e alle albe luminose; ai lunghi trasferimenti in volo attraverso paesaggi desertici, quasi lunari.
Si potrebbe raccontare dello stupore di chi atterrava in valli in cui la modernità sembrava non essere mai arrivata, della curiosità degli adulti che vedevano gli elicotteri come un umano vedrebbe delle astronavi; o si dovrebbe incrociare lo sguardo dei bambini, che senza timore si avvicinavano agli equipaggi appena atterrati nell’aeroporto di Qala I Naw, chiedendo cibo e ricevendo in cambio dai piloti la cioccolata dei giubbini di sopravvivenza, che spariva in pochi secondi tra un nugolo di piccole mani magre e sporche di fango.


Si potrebbe fare il conto delle tonnellate di materiale e uomini trasportato dai CH-47; delle corse dei piloti dei “Mangusta” verso gli hangar per decollare a supporto delle truppe a terra; degli innumerevoli turni di “MEDEVAC” (Medical Evacuation) degli equipaggi di UH-205, HH-412 e poi di quelli di UH-90; o delle lunghe ore di osservazione effettuate dagli operatori del “TUAS” (Tactical Unmanned Aircraft System). Delle giornate passate rischierati nelle varie basi, da nord a sud dell’area di operazione; degli interventi a supporto dei convogli che si muovevano sulla famosa “Ring Road”, fino all’ultima goccia di carburante. Dei motori cambiati in mezzo al deserto e sotto il sole cocente di Farah; delle missioni a supporto della “FOB” (Forward Operating Base) di Bala Morghab; dei viveri e medicinali consegnati nei luoghi più isolati; dei diversi interventi a fuoco e dei colpi ricevuti; della professionalità e del sangue freddo di un pilota di “Mangusta” nell’attendere e discernere se l’arnese nelle mani di un uomo fosse un fucile o una zappa e dover decidere se e quando intervenire. Della fiducia che ogni pilota aveva, ogni qual volta si affidava alla propria macchina e al lavoro svolto dai propri tecnici, staccando le ruote dal suolo per svolgere le tantissime missioni di volo lontano da qualsiasi supporto amico.


Ogni uomo che ha servito in Afghanistan avrebbe tanto da raccontare e tanto tiene dentro di sé, tra i suoi ricordi che lo accompagneranno per tutta la vita.
Ogni storia è diversa ed unica. C’è chi era impiegato nel plotone di fanteria aeromobile, chi in quello di mantenimento velivoli, chi ha operato a bordo dei gloriosi UH-205 e HH-412 come assetto di evacuazione medica e successivamente sui più recenti UH-90 con l’ “AMET” (Aeromedical Evacuation Team). Poi c’è quell’enorme numero di professionisti, che hanno operato in molti modi, silenziosamente e instancabilmente, per far si che ogni volta la “Fenice” potesse alzarsi in volo. Le tante persone che, per sei o tre mesi, quotidianamente hanno attraversato il piazzale delle bandiere per recarsi a lavorare al “TOC” (Tactical Operations Center); che hanno varcato la soglia del comando della “Fenice” o che hanno lavorato senza sosta nei vari uffici e magazzini della Base.
Gli anni dell’Afghanistan rappresentano un tesoro di esperienze e professionalità che nel tempo è aumentato, arricchendo la capacità operativa degli equipaggi.

Il saluto degli AH-129 su Camp Arena

Professionalità che si è tradotta in pubblicazioni, in nuove modalità di addestrare il personale, in elicotteri e componenti tecnologiche sempre più avanzate e moderne, in grado di fronteggiare gli scenari più complessi con i quali l’Aviazione dell’Esercito è tenuta a confrontarsi. Un’esperienza e un bagaglio che fanno ormai parte di quello che è l’iter formativo di piloti e tecnici e che hanno permesso di avere personale più preparato e sicuramente più conscio delle proprie capacità, sia in termini di operatività delle singole unità di volo, sia in un’ottica di interoperabilità con altre componenti che agiscono nella terza dimensione e con le truppe terrestri.


Il Teatro Afghano, con le sue complessità e le sue caratteristiche uniche, ha permesso una crescita professionale ineguagliabile e ha dimostrato, là dove ce ne fosse stato ancora bisogno, il ruolo fondamentale degli assetti ad ala rotante nelle operazioni militari, che sono oggi uno strumento irrinunciabile e decisivo. La flessibilità della componente elicotteri si è rivelata fondamentale e ha permesso il raggiungimento di obiettivi che, per la conformazione del territorio afghano e per la complessità di una minaccia sempre presente e insidiosa, non erano affatto scontati. A oltre 14 anni dalle prime missioni di volo, ogni componente che ha operato in questo Teatro ne è uscita arricchita e ha potuto effettivamente percepire quanto importante sia l’integrazione dei singoli assetti in un ambiente operativo sempre più interconnesso che, nel passare degli anni, ha messo a dura prova sia gli uomini che le macchine. Il risultato ottenuto in questi anni dal Task Group “Fenice” è stato decisamente ragguardevole. Le missioni svolte e le criticità affrontate sono state risolte sia con il supporto dei vari reparti “Parent” e dei diversi poli di mantenimento, sia grazie all’ingegno e alle capacità dei singoli, che hanno sperimentato soluzioni innovative, poi tradotte nelle migliorie che, negli anni, hanno interessato gli elicotteri e i supporti al suolo. Le attività svolte sono spesso state il trampolino di lancio per lo studio di nuove tecniche di impiego e quindi hanno permesso di raggiungere un livello di professionalità riconosciuto non solo a livello nazionale, ma anche dai vari comandi delle Unità alleate che sono state supportate dagli elicotteri della “Fenice”.


Dopo molti anni e molte turnazioni di uomini e mezzi, la storia di questa “gloriosa” Unità volge al termine e l’uscita di scena non è stata di certo meno impegnativa del suo esordio. La sfida per gli uomini e donne della “Fenice” non è stata semplice, perché ha comportato il dover fronteggiare non solo un nemico temibile, che negli anni si è sempre rivelato essere abile ed insidioso, ma anche uno forse meno concreto ma di certo non meno pericoloso rappresentato dal Covid-19. Fino alla fine, gli elicotteri del Task Group “Fenice” hanno garantito la protezione della Base e, dopo un periodo di addestramento, congiunto si sono perfettamente integrati con le componenti di force protection della Brigata Paracadutisti “Folgore”, per permettere la giusta cornice di sicurezza allo svolgimento delle operazioni di retrograde del contingente.


Uno sforzo notevole, che si e snodato su due direttrici: quella logistica, che ha condotto al ripiegamento di un assetto costituito da macchine e apparati complessi e delicati, e quella operativa, perché pur di fronte a una riduzione di materiale e risorse, la “Fenice” ha incrementato il numero di sortite per far fronte alla riduzione delle capacità di reazione della Base, aumentando la capacità di intervento nell’arco diurno e notturno.
Il personale di “Camp Arena” ha sempre potuto contare sugli assetti ad ala rotante e sulla componente “TUAS” fino all’ultimo momento. E malgrado il Covid avesse, proprio nel periodo più delicato, colpito una parte nevralgica del gruppo, la componente tecnica (adibita al condizionamento e imbarco degli aeromobili sugli aerei da trasporto), nonostante le condizioni climatiche estreme, la carenza di personale, di risorse e mezzi, ogni uomo della “Fenice” ha onorato la sua Unità; lavorando senza sosta e senza alcun segno di cedimento e andando oltre i propri limiti, riuscendo così ad assolvere anche all’ultimo arduo compito assegnato. Il ripiegamento logistico di un’Unità di volo presuppone un enorme lavoro di pianificazione congiunto con le altre componenti organizzative, in quanto gli assetti necessari al trasporto degli elicotteri sono peculiari e le stesse operazioni di imbarco devono avvenire seguendo specifiche prescrizioni tecniche e sotto la supervisione di personale specializzato. Il retrograde logistico del Task Group “Fenice” è stato caratterizzato dall’impiego di assetti quali l’ “Antonov 124” per il trasporto degli elicotteri e l’ “Ilyushin IL-76”, il “C-130” e il “C-17” per il trasporto dei materiali, che sono stati progressivamente condizionati per il trasporto man mano che la loro operatività cessava.


Il lavoro di team svolto dai tecnici ha permesso un’ottima aderenza alle attività logistiche e ha ridotto al minimo i tempi di non operatività degli assetti e quindi della vulnerabilità dell’intera Unità. Un’operazione durata oltre due mesi, svolta in un Teatro in cui la minaccia risultava sempre presente e in cui le precauzioni al fine di aumentare la capacità di reazione della forza hanno imposto ritmi di lavoro serrati, svolti spesso durante l’arco notturno, riducendo al minimo il margine di errore.
Malgrado le numerose problematiche di carattere logistico imposte da una operazione unica per complessità e per numero di personale, mezzi e materiali coinvolti, il lavoro svolto dal Task Group “Fenice” ha portato al risultato pianificato e ha permesso la correzione dei diversi scostamenti che si sono verificati in fase di condotta. Gli ultimi elicotteri della “Fenice” hanno sorvolato “Camp Arena” salutando, nella loro ultima missione di volo, quella Base nella quale per lungo tempo hanno dimorato e che hanno sempre protetto.

Le sagome dei 4 “Mangusta”, i “diavoli neri” come li chiamavano nelle valli di Bala Morghab, hanno attraversato tutto il campo semideserto. I pochi militari rimasti hanno sollevato il capo e con gli occhi accecati dal luminoso sole di giugno, hanno salutato i 4 guardiani dei cieli di Herat. Qualche giorno prima anche gli UH-90 e il “TUAS” erano rientrati, a bordo di altri aerei, dall’Afghanistan. Con la partenza degli AH-129, l’Aviazione dell’Esercito salutava definitivamente la “RC-W” (Regional Command West).
Dopo la partenza dell’ “Antonov” con a bordo i “Mangusta”, un silenzio irreale è calato sul campo. La loro presenza era sinonimo di sicurezza e di reazione immediata e mirata. Sapere che quella certezza non era più presente, ha lasciato nell’animo di chi rimaneva un velato senso di amarezza. I giorni successivi, tuttavia, sono trascorsi senza problemi e anche l’ultimo uomo è rientrato dal Teatro.
La “Fenice” ha ripiegato le ali. La sua Missione è terminata e ora lo stendardo dell’Unità potrà rientrare in Italia e ricevere la giusta collocazione e gli onori che si tributano alle Unità che tanto hanno dato per la sicurezza internazionale.
La storia di questa meravigliosa Unità volge al termine.


Gli sforzi fatti dagli uomini e dalle donne che nel tempo si sono succeduti, non verrà dimenticata ma resterà sempre nel cuore di tutti coloro che hanno servito, spesso rischiando la propria vita, in una Unità di punta dell’Aviazione dell’Esercito e di tutta la Forza Armata. E il ricordo resterà certamente anche nella mente e nel cuore del popolo afghano, cui l’Italia continuerà ad assicurare il suo supporto.
Nuovi orizzonti e nuove sfide attenderanno gli uomini e le donne

dell’Aviazione dell’Esercito che, sia in Patria che all’estero, continueranno a lavorare silenziosamente con professionalità e passione per permettere agli elicotteri e agli aerei di questa gloriosa Specialità di continuare a solcare i cieli e a offrire il loro supporto ovunque ce ne fosse bisogno. Il sipario si chiude dopo tanti anni su questa meravigliosa e tanto martoriata terra, così ignota ai primi equipaggi di volo che vi atterrarono per la prima volta. Un giorno, probabilmente, la “Fenice” risorgerà dalle sue ceneri, magari in un altro Teatro. Agli ordini di un altro Comandante, spiegherà nuovamente le sue ali infuocate per soccorrere e proteggere tutti coloro che ne avranno bisogno.

Agostino Iacicco
Tenente Colonnello
Comandante del Task Group “Fenice”

da “il Basco Azzurro 3/2021

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