1986 Un cuore, un elicottero, tanta fede

di Franco Frondaroli

Era mezzogiorno di un venerdì uggioso. L’autunno avanzato gravava con la sua densa foschia, mista a pioggia ed umidità su tutta la zona.

Per le ridottissime condizioni di visibilità, l’attività di volo dei reparti era stata limitata a quella “in circuito”.

Un improvviso squillo di telefono fece sobbalzare il personale di servizio presso la sala operativa dell’aeroporto di Casarsa. Dall’altra parte del filo una voce pacata, di quelle che sanno trasmettere sicurezza, chiedeva con la massima cortesia l’intervento di un elicottero per il trasporto, da Vicenza a Udine, di un cuore necessario per un urgentissimo trapianto. Della richiesta veniva immediatamente informato il comando del raggruppamento che per verificarne l’autenticità assumeva in fretta i necessari dati e componeva il numero telefonico fornito.

A rispondere era la stessa voce che, nonostante l’urgenza, dimostrava una straordinaria padronanza di nervi e una formidabile serenità. Si trattava del prof. Merigi, primario del reparto di cardiologia dell’ospedale civile di Udine.

Con toni tranquilli e sereni l’illustre professore rappresentava in termini chiari e precisi l’urgente necessità di disporre ad Udine del cuore di un giovane deceduto nella mattinata, per un incidente stradale, a Vicenza. Si trattava, quindi, di trasportare a Vicenza nella tarda serata due medici incaricati dell’espianto del cuore e del suo successivo trasporto ad Udine, per il trapianto in un paziente gravemente ammalato ed in lista d’attesa da parecchie settimane.

L’occasione era, pertanto, unica e tutto doveva essere tentato per prolungare la vita a quel paziente, altrimenti destinato a morire in brevissimo tempo.

Considerata a prima vista, la missione poteva apparire semplice, ma le condizioni imposte dal prof. Merigi, connesse con le inderogabili esigenze di carattere tecnico-chirurgiche, ci ponevano di fronte a responsabilità da far tremare i polsi a chiunque. Il trasporto aereo del cuore, una volta iniziato, doveva necessariamente concludersi a Campoformido, pena il totale fallimento di tutta l’operazione. Inoltre, il volo doveva essere iniziato e condotto con continuità, comunicando i tempi di progressione dell’operazione, per permettere all’equipe di Udine di preparare per gradi il trapianto nel paziente; il tutto rispettando il tempo limite di impiantabilità del cuore da trasportare.

Valutate attentamente le condimeteo del momento e le previsioni per la sera, decisamente negative, il comando rappresentava al prof. Merigi che il trasporto aereo non poteva essere assicurato nei termini indicati. Si suggeriva, pertanto, di ricorrere al soccorso aereo dell’Aeronautica, idoneo al volo strumentale, oppure di servirsi dell’impiego delle volanti della polizia stradale. Decisione molto sofferta da parte del comando di raggruppamento, il cui personale, nel frattempo, appassionatosi alla missione, era disposto anche a forzare la situazione malgrado le proibitive condizioni meteorologiche.

Quando il problema sembrava ormai chiuso, verso le 14 il prof. Merigi si rifaceva vivo con un’altra telefonata per comunicarci che il soccorso di Rimini aveva dichiarato di non essere in grado di effettuare la missione e che l’eventuale intervento di pattuglie della stradale non assicurava il trasporto.

Tutto, perciò, dipendeva dalla possibilità di intervento degli elicotteri del 5° raggruppamento ALE “Rigel”, con il vivo auspicio che le condimeteo nel frattempo migliorassero.

Le chiamate dall’ospedale civile si ripetevano a brevi intervalli pressoché regolari, sempre chiedendo notizie sull’evoluzione delle condizioni del tempo. Le nostre risposte, continuavano ad essere, purtroppo, sempre le stesse: ”Professore, la visibilità è sempre pessima e non consente ancora nessuna possibilità di alzarsi in volo. Speriamo che qualcosa cambi nella prossima ora!”

Le ore venti, indicate dal chirurgo come limite massimo per la decisione definitiva, erano arrivate, inesorabili e pesanti, a porci di fronte alla drammaticità del caso. Il telefono squillò ancora; era il professore che chiedeva che cosa era possibile fare. La serenità, la calma imperturbabile che aveva caratterizzato ogni sua precedente telefonata, aveva lasciato il posto ad una leggera apprensione. La sua correttezza era, però, immutata ed indiscusso il rispetto per i nostri problemi e per ogni nostra decisione; ora dal timbro della voce traspariva il dramma di un uomo che non intendeva rassegnarsi alla cattiva sorte, e chiedeva … tutto il possibile.

Al comando di raggruppamento ci fu un’ultima veloce riunione per decidere sul da farsi. La situazione, in verità, non era cambiata, né le previsioni erano migliori, ma il problema umano sovrastava ogni altra cosa e attanagliava tutti noi. I nostri pensieri erano rivolti alla donazione di un cuore, appartenuto a un giovanissimo deceduto e al dramma di una famiglia in trepidante attesa di un trapianto che avrebbe ridato la vita ad un giovane padre.

Il raggruppamento decideva di impegnarsi nella missione, correndo un rischio calcolato molto alto. Dopo aver informato il centro coordinamento e soccorso di Monte Venda, venivano subito impartite disposizioni per l’attivazione della sala operativa e della TWR di Casarsa, dei posti di collegamento degli aerocampi di Vittorio Veneto e di Campoformido e previsti collegamenti telefonici tra l’ospedale e l’aeroporto di Vicenza, l’ospedale e l’aeroporto di Campoformido.

L’equipaggio provvedeva agli ultimi ritocchi della pianificazione del volo e alle 21.25, con a bordo i due chirurghi incaricati dell’espianto, l’elicottero decollava da Casarsa diretto all’aeroporto di Vicenza. Il volo, condotto a circa 500 piedi per la presenza di numerosissimi banchi di nubi a bassa quota e continui piovaschi, durava 50 minuti.

All’aeroporto di Vicenza iniziava per l’equipaggio una lunga e febbrile attesa, rotta soltanto, di tanto in tanto, da informazioni telefoniche dall’ospedale, sull’andamento dell’intervento. Il decollo era previsto dopo circa un’ora, ma improvvise difficoltà, legate all’operazione chirurgica, avevano comportato un notevole ritardo. Con la mente ed il cuore sempre attenti alle condimeteo, i dubbi si alternavano alle speranze, creando nell’equipaggio forte tensione e uno stato quasi d’angoscia.

All’una e 35 giungeva finalmente la notizia che l’operazione si era conclusa e che di lì a qualche minuto l’elicottero avrebbe potuto ridecollare. L’equipaggio era al proprio posto, il motore era stato avviato, i controlli effettuati e provati i collegamenti radio, quando a sirena spiegata giungeva la staffetta della polizia stradale che scortava i chirurghi ed il loro prezioso carico. L’elicottero, dopo un brevissimo rullaggio e in continuo collegamento radio, si involava nella notte più buia alla volta di Campoformido. Il tempo era pessimo a causa del persistere delle nubi a bassa quota e della scarsa visibilità dovuta alla pioggia battente. L’attenzione dei piloti era tutta rivolta ai particolari da riconoscere lungo la rotta e alla lettura degli strumenti di bordo.

Nonostante tutto l’elicottero procedeva molto velocemente poiché ogni minuto era prezioso, troppo prezioso! La pioggia picchiava violentemente sul plexiglas e il ritmare rumoroso delle spazzole suscitava nei piloti il facile riferimento ai battiti del cuore. Sensazioni forti … indimenticabili!

Sorvolando Casarsa l’equipaggio comunicava a Campoformido che l’atterraggio era stimato dopo circa 12 minuti. Ogni precedente stimato, d’altra parte, veniva trasmesso al prof. Merigi, al lavoro presso la sala operatoria.

Quando l’elicottero fu sul cielo di Campoformido, la base era già organizzata per l’atterraggio notturno, con l’ausilio anche dei fari accesi di quattro automezzi opportunamente sistemati.

Si notava un concitato movimento di persone e di autovetture in trepidante attesa.

L’elicottero posava dolcemente i pattini sul piazzale e subito si apriva il portellone dal quale uscivano dapprima lo specialista e successivamente i due medici, uno dei quali reggeva un insignificante contenitore refrigerante portatile. Senza perdere un istante salivano su una autovettura e via a sirene spiegate verso l’ospedale.

I segni di una grande gioia e di una consapevole soddisfazione presero il sopravvento nei cuori degli uomini dell’equipaggio e di tutti quelli che avevano contribuito al buon esito della missione.

Un cuore umano, dopo un paio d’ore, avrebbe ricominciato a battere in un nuovo petto.

Quel cuore era stato giustamente il vero protagonista di questo eccezionale avvenimento, ma non si può disconoscere che in qualche misura siano stati protagonisti anche i cuori di tutto il personale del 5° raggruppamento ALE “Rigel”.

Equipaggio: Buttazzoni, Franco Frondaroli, Cont.

Il 5° Raggruppamento ALE “Rigel” ricevette il 16 maggio 1987, il premio “Icaro” per la missione raccontata da questo articolo.

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