IL MILITE IGNOTO: una breve storia per ricordare

di Giuseppe Bodi

Nella primavera del 1921 il Colonnello di artiglieria Giulio Douhet, dalle colonnne del settimanale “Dovere”, lanciò l’idea di onorare i sacrifici della popolazione nazionale nella salma di un soldato sconosciuto che potesse rappresentare idealmente il marito, il figlio, il padre di quanti non avevano avuto la possibilità di onorare le spoglie mai ritrovate del familiare disperso in battaglia. Giulio Douhet, di origini savoiarde (il padre si trasferì nel Regno di Sardegna dopo la cessione della Savoia alla Francia), fu un illustre teorico della guerra aerea e della sua supremazia.
Studioso di elettrotecnica applicata ai motori, fu un precursore delle applicazioni aereonautiche, ancorché avversato dai superiori e dall’establishment militare; a suo nome è intitolata la Scuola Militare Aereonautica di Firenze.
Il 20 giugno 1921 il Ministro della Guerra (dal 2 aprile al 4 luglio 1921) Giulio Rodinò presentò un disegno di legge che impegnava lo Stato a rendere gli onori più solenni alla salma di un soldato senza nome e definiva le modalità esecutive per la designazione e per le onoranze da rendere alla salma del caduto senza nome.
Nell’agosto dello stesso anno il Ministro della Guerra (dal 4 luglio 1921 al 26 febbraio 1922) Luigi Gasparotto nominò una Commissione che aveva il compito di rintracciare Caduti ignoti in tutti i posti dove si era combattuto fino a tre anni prima.
Le disposizioni prevedevano che le ricerche delle salme da esumare dovessero essere condotte “nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello Pasubio e Capo Sile”.
In ciascun campo di battaglia doveva essere cercata ed esumata la salma di un caduto certamente non identificabile e, per ciascuna esumazione, doveva essere redatto un verbale che precisasse tutte le cautele adottate durante l’esumazione.
Le 11 salme, da esumare tra il 3 ed il 25 ottobre, al termine del triste compito dovevano essere collocate in altrettante identiche casse di legno e traslate nella Basilica di Aquileia (Udine) entro il 27 ottobre. Il giorno successivo, 28 ottobre 1921, dopo la benedizione dei feretri, la madre di un disperso in guerra avrebbe designato la salma che doveva essere onorata in eterno, dall’Italia e dagli italiani, come il “Milite Ignoto”.
La bara prescelta doveva essere collocata all’interno di una cassa di legno lavorato ad ascia e rivestita di zinco, fatta allestire a cura del Ministero della Guerra e quindi trasferita a Roma a bordo di uno speciale convoglio ferroviario.
Le salme degli altri dieci soldati ignoti sarebbero state tumulate, contemporaneamente al “Milite Ignoto”, nel cimitero attiguo alla Basilica di Aquileia.
La prima salma fu riesumata nella zona di Rovereto (Trento), la seconda fu cercata sul Pasubio, la terza sull’Altopiano di Asiago, la quarta su Cima Grappa, la quinta sul Montello e la sesta in zona Capo Sile. Le prime sei salme furono affidate ai Coneglianesi.
L’esumazione della settima salma avvenne in Cadore, l’ottava sul Monte Rombon, la nona sul Monte San Michele, la decima venne cercata sul Carso e l’undicesima tra Castagnevizza (ora Comune di Merna-Castagnevizza in Slovenia) ed il mare.
Le 11 salme vennero portate a Gorizia nella chiesa di Sant’Ignazio.
La scelta della donna che avrebbe dovuto designare la salma del “Milite Ignoto” cadde su Maria Blasizza, coniugata Bergamas, di Gradisca di Isonzo (Gorizia), madre dell’irredento S. Ten. Antonio Bergamas, decorato di Medaglia d’Argento al V.M. caduto sul Monte Cimone il 18 giugno 1916.
Antonio Bergamas, il giorno prima di morire, si offrì volontario per guidare con il suo plotone l’attacco del Reggimento. Durante l’assalto superò illeso due ordini di reticolati, ma al terzo venne raggiunto da una raffica di mitraglia e colpito con 5 colpi al petto ed uno alla testa. Come dalle disposizioni impartite, Il 27 ottobre 1921 le undici bare, contenenti le salme selezionate, composte a Gorizia in bare di legno grezzo tutte uguali l’una all’altra, vennero caricate su altrettanti automezzi per muovere verso Aquileia. Durante tutto il percorso, ovunque fiori, gente genuflessa e in lacrime. Giunte sul piazzale della basilica le undici bare furono portate a spalle al suo interno. Già dalle prime ore del 28 ottobre una folla immensa aveva invaso la Basilica. Al termine del rito funebre di suffragio, quattro decorati di Medaglia d’Oro si avvicinarono a Maria Bergamas porgendole il braccio. La donna, con movimenti quasi irreali, mosse verso i feretri, si inginocchio davanti all’altare, “…giunse davanti alla penultima bara davanti alla quale, oscillando sul corpo che più non la reggeva e lanciando un acuto grido che si ripercosse nel tempio, chiamando il figliuolo, si piegò, cadde prostrata e ansimante in ginocchio abbracciando il feretro…”
Secondo la testimonianza della figlia Anna, la madre era decisa a scegliere l’ottava o la nona bara: quelli erano i numeri che ricordavano la nascita e la morte del figlio Antonio. Giunta dinanzi alle bare provò un senso di vergogna; affinché nulla dovesse ricordare suo figlio, scelse la decima: il simbolo che sarebbe andato a Roma doveva essere veramente un soldato ignoto.
Maria Bergamas morì a Trieste il 22 dicembre 1953 e l’anno successivo, il 3 novembre 1954, la salma fu riesumata e sepolta nel cimitero di guerra di Aquileia, retrostante alla basilica, vicino ai corpi degli altri 10 militi ignoti.
La salma prescelta venne sollevata da quattro decorati e posta all’interno di un’altra cassa in legno massiccio.
Il sarcofago venne posto su un affusto di cannone trainato da sei cavalli bianchi, bardati a lutto, ed il corteo si portò alla stazione ferroviaria di Aquileia. Un corteo di reduci, di madri e mogli di caduti, giunti da tutto il Veneto, la seguì fino alla stazione ferroviaria dove la bara del “Milite Ignoto” venne posta su un vagone speciale.
Il treno viaggiò lentamente per quattro giorni, per 800 km. Lungo tutto il percorso, senza distinzione di ceto sociale, la popolazione, inginocchiata lungo i binari della ferrovia, attese commossa il passaggio del convoglio. tra due ali di gente. Furono momenti straordinari, irrepetibili, del tutto spontanei. Sventolavano vessilli, bandiere italiane e lanciate montagne di fiori. Il treno giunse a Roma il 2 novembre dopo soste a Venezia, Bologna ed Arezzo.
Il 2 novembre, all’arrivo del convoglio alla stazione Termini, le bandiere di tutti i reggimenti che avevano preso parte al conflitto ed i gonfaloni dei Comuni decorati al Valor Militare erano allineati lungo i binari. Il feretro fu accompagnato in corteo fino alla Basilica di Santa Maria degli Angeli.
Il 4 novembre, in contemporanea con Aquileia, dove veniva data sepoltura alle 10 salme, si procedette al rito finale.
Per disposizione del Governo in tutti i Comuni, alla stessa ora, doveva essere cessato qualsiasi lavoro e le campane dovevano suonare a gloria. La cassa con i resti mortali del “Milite Ignoto” venne portata a braccia fuori dalla chiesa e sistemata su un affusto di canone che è ancora conservato nel Museo del Risorgimento di Roma. Apriva il corteo un plotone di Carabinieri a cavallo ed un reparto in armi; in due blocchi seguivano 753 tra bandiere e labari di unità militari ed i gonfaloni dei Comuni decorati al Valor Militare. Chiudeva il corteo un blocco di 1.800 bandiere delle associazioni combattentistiche. La folla era immensa: le cronache parlano di trecentomila persone che accorsero da ogni parte d’Italia e più di un milione di italiani che fece massa sulle strade della Capitale. Dinanzi al Vittoriano, in Piazza Venezia, ben 335 Bandiere dei reggimenti attendevano il feretro. Le persone arrivarono a migliaia; tra loro reduci e decorati, uomini con i volti scavati: contadini e operai che conoscevano da sempre la fatica ed il sacrificio e che appartengono a quella generazione di fine 800 che sconfisse sul campo uno degli eserciti più forti del mondo. Prima della tumulazione, un soldato semplice pose sulla bara l’elmetto da fante.
Il “Milite Ignoto” fu preso sulle spalle da sei combattenti decorati con medaglie d’oro; tra loro vi era anche Luigi Rizzo, siciliano di Milazzo, l’affondatore della corazzata Santo Stefano. Il sarcofago, infine, venne deposto ed inserito nel sacello, ricavato sotto la statua della Dea Roma sul quale è incisa la semplice scritta latina “ignoto militi”: al milite ignoto. Il posto che da allora è per tutti l’Altare della Patria. La pietra tombale venne definitivamente chiusa alle ore 10.36 del 4 novembre 1921.

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